Israel Shamir

The Fighting Optimist

Giuseppe rivisitato

Non e’ facile visitare Giuseppe, di questi tempi. Blocchi stradali imposti dai militari israeliani hanno circondato la sua citta’ di Nablus, tronchi e massi di terra bloccano le gia’ piccole entrate ed uscite. Normalmente, i cittadini di Nablus entravano ed uscivano per lavoro e spese, ora lo fanno a loro rischio e pericolo, poiche’ i soldati sparano senza avvertimento. Eppure, qualcuno, a piedi, puo’ ancora avventurarsi nella vecchia capitale della Samaria.

La citta’ riposa come un sacchetto di mirra tra i due seni gemelli del Monte Ebal e del Monte Gerizim. Nablus e’ la Neapolis degli antichi, fondata da Tito Flavio all’apogeo dell’impero romano. La tradizioni romane non sono morte in questa San Francisco palestinese, con i suoi generosi bagni turchi. Essa e’ anche famosa per il suo fragrante sapone all’olio d’oliva, per la speziata zuppa di kubbeh e per lo spirito indomito dei suoi abitanti. Questi combatterono un’aspra guerriglia contro Napoleone, si ribellarono agli invasori egiziani ed ora tengono alla larga i coloni ebrei.

Durante l’ultima rivolta, Nablus si e’ meritata il nome di Jabal en-nar, la montagna del fuoco. Gli israeliani raramente osano entrare nelle strette stradine della citta’ vecchia. Oggi, questa insolente, antica citta’ e’ la casa di Marwan Barghuti, uno dei leaders dell’intifada.

Venni qui per visitare uno dei reliquiari piu’ affascinanti della Terra Santa, la Tomba di Giuseppe, l’eroe di tante storie della Bibbia e del Corano, un ragazzo del luogo che creebbe in Egitto e fu, in seguito sepolto nella sua terra ancestrale. I locali hanno sempre venerato il reliquiario di Giuseppe, come le tante altre tombe che adornano le colline e gli angoli di strada della Palestina. Le tombe hanno radici profonde nell’animo dei palestinesi; esse sono sopravvissute a tutte le riforme religiose ed ancora sono in grado di portare l’uomo verso Dio.

Bisogna prendere i loro nomi con un granello di sale, poiche’ cambiano con il passare del tempo. Ci sono dozzine di tombe di Sheikh Ali, e persino Yehoshua bin Nun ne ha alcune. Altre tombe hanno svariati nomi, come ad esempio la caverna del Monte degli Olivi, chiamata Pelagia dai cristiani, Rabia al-Adawiya dai musulmani e Hulda dagli ebrei. Mentre gli scolari ortodossi musulmani, cristiani ed ebrei hanno da obiettare riguardo alla venerazione delle tombe, il popolo e’ sempre venuto qui a chiedere favori, di gloria e buon raccolto gli uomini, di bambini ed amore le donne.

La Tomba di Giuseppe non fa eccezione. E’ una semplice costruzione a cupola, restaurata di recente, e sta di fianco all’antico terrapieno di Shechem. Ogni tanto, si vedono le contadine palestinesi con vestiti neri riccamente ricamati che visitano la tomba del casto amante, i cui lunghi sguardi demolirono le resistenze del cuore di Zuleika.

Qualche mese fa, la Tomba di Giuseppe era su tutti i giornali e le televisioni. Il popolo di Nablus aveva dato battaglia a soldati israeliani superarmati sui resti del suo antenato Giuseppe, come gli achei combatterono i troiani per le spoglie di Patroclo. Due palestinesi morirono li’, insieme ad un mercenario israeliano ed altri soldati restarono feriti.

Le immagini della battaglia furono trasmesse in tutto il globo insieme ai lampi delle armi automatiche, alle ambulanze in corsa verso gli ospedali, le pietre ed i corpi. La realta’ virtuale della TV accompagnata dalle voci degli esperti presentarono la battaglia come l’ultima prova dell’odio palestinese verso i luoghi santi ebraici.

La storia della distruzione della Tomba rimase nei notiziari per lungo tempo. Perfino un importante teologo musulmano scrisse, dalla Russia, una lettera aperta ai palestinesi, in cui condannava il sacrilegio. I maggiori giornali internazionali pubblicarono aspri editoriali sul caso. Anche un Marziano in visita sulla terra avrebbe imparato che il desiderio principale dei palestinesi era quello di vandalizzare gli antichi monumenti ebraici. Per coloro i quali non avessero avuto l’opportunita’ di leggere la storia le 108 volte precedenti, il NYT l’ha ripubblicata la scorsa settimana.

Questo e’ troppo, per me. Il fortunato giornale ebraico-americano ha sempre provocato sospetti, nella mia mente. Ricordo i loro articoli su imminenti pogroms di ebrei a Mosca nel 1990, che non sono mai avvenuti, ma che hanno fatto trasferire un milione di ebrei russi in Israele. Ricordo i loro articoli sul massacro di Timisoara in Romania, che poi si scopri’ essere una bufala, ma che, nel frattempo, porto’ all’esecuzione sommaria di Ceausescu e di sua moglie. Ricordo bene come il NYT si scaglio’ contro la nobile assistenza cubana verso la Namibia, che spezzava la vergogna dell’apartheid sudafricano. Conoscendo i palestinesi, ho difficolta’ a credere che quel popolo che venera quella tomba da innumerevoli generazioni, possa averla distrutta.

Cio’ che in realta’ ho trovato presso la Tomba di Giuseppe e’ stata un replay della vecchia barzelletta ebraica: “E’ vero che Cohen ha vinto un miliardo alla lotteria di stato? Si, e’ vero, ma erano solo dieci dollari, al poker, ed in realta’ li ha persi”. Invece delle rovine che mi sarei aspettato di trovare, la tomba risplendeva nella sua bellezza originaria. Non vi erano tracce di guerra, intorno. La municipalita’ di Nablus ha chiamato i migliori restauratori, perfino dall’ Italia, per riportare la tomba al suo stato originario. E’ stato rimosso il filo spinato, le postazioni dell’artiglieria, i veicoli blindati, le cianfrusaglie dell’esercito, i checkpoints. Una base militare israeliana e’ stata demolita e sostituita dalla risorta santa tomba. Fu una gioia rivisitare Giuseppe, poiche’ la mia ultima visita, un mese prima che scoppiasse l’intifada, fu sconvolgente.

Allora, visitai Nablus in compagnia di due turisti, un cristiano ed un ebreo. Visitammo la sinagoga samaritana, bevemmo acqua dalla fonte di Giacobbe nella chiesa, ammirammo la Moschea Verde e poi decidemmo di portare i nostri ossequi a Giuseppe, il Bello. Un vecchio poliziotto palestinese ci permise di avvicinarci alla tomba, ma ci avviso’ che non ci sarebbe stato permesso di entrare. Aveva ragione. Dei ragazzotti russi con la divisa israeliana si precipitarono fuori e ci dissero che bisognava andare al quartier generale dell’esercito fuori citta’, ottenere un permesso dopo un interrogatorio e ritornare al sito con un bus blindato. Ovviamente rinunciammo e ci avviammo verso siti piu’ accessibili.

Per generazioni, la Tomba di Giuseppe e’ stata amata e curata con gioia dalla gente di Nablus, ma essa fu estorta da Israele nel 1975. Gli infami accordi di Oslo la lasciarono come un’enclave armata israeliana nel cuore della citta’ palestinese. Essa divenne una Yeshiva di una setta Cabbalistica guidata dal rabbino Isaac Ginzburg. Questo nome dovrebbe far suonare una campana d’allarme. Si, quel Ginzburg che, in un’intervista al “Jewish Week” sostenne infelicemente che un ebreo ha diritto anche a spezzare il fegato di un Gentile, se questo puo’ servirgli a salvarsi la vita, poiche’ la vita di un ebreo e’ incomparabilmente piu’ preziosa di quella di un Gentile. L’intervistatore gli chiese di ammorbidire il messaggio, ma Ginzburg rimase inflessibile. Molti giornali israeliani hanno ripubblicato la famosa intervista, per cui il nome di Ginzburg e’ ben noto.

Un anno prima, i discepoli di Ginzburg fecero una sortita in un villaggio palestinese dei dintorni, ed un membro della setta uccise una ragazzina di 13 anni. Fu arrestato e portato in giudizio. Ginzburg fu chiamato come testimone dalla difesa, e, sotto giuramento, affermo’ che un ebreo non dovrebbe essere portato in giudizio per l’assassinio di un Gentile, poiche’ il comandamento: “Non ucciderai” si riferisce solo agli ebrei. Uccidere un Gentile e’, al massimo, una cattiva azione poiche’ “nessuno puo’ paragonare il sangue di un ebreo con quello di un Gentile”. Nella sua “Storia culturale degli ebrei”, Zvi Howard Adelman di Gerusalemme (disponibile al sito web del Department for Jewish Zionist Education), cita Ginzburg ed alcuni suoi colleghi. Uno dei suoi seguaci Cabbalisti, Rabbino Israel Ariel, scrisse nel 1982, al tempo del massacro di Sabra e Shatila, che “Beirut e’ parte della terra d’Israele … i nostri leaders dovrebbero entrare in Libano senza esitazioni, ed ucciderli tutti. Non dovrebbe esserne lasciata memoria”.

Ora, ogni fede ha le sue frange estremistiche e fanatiche. Certo, la maggioranza degli ebrei, anche di quelli religiosi, non sottoscrive tali farneticazioni e magari prova repulsione di fronte a tali sentimenti cannibalisti. Ma tale repulsione non ferma l’esercito israeliano dal fare la guardia alla Yeshiva di Ginzburg, non frena il governo israeliano dal sovvenzionarla o dal forzare i palestinesi ad accettare questa enclave di odio nel cuore di Nablus, o dall’intraprendere una mini-guerra per promuovere lo zelo di Ginzburg. Questa repulsione non mette fine al cieco sostegno degli ebrei americani alla politica di Israele. Questa repulsione non mi impedisce di pagare le tasse al governo israeliano, anche se so che parte di esse andranno a sostenere la setta di Ginzburg.

Questa repulsione non ferma il New York Times ed i suoi affiliati media americani dal propagare la sanguinosa bugia dei “palestinesi che vandalizzano i luoghi santi ebraici”. Ginzburg, invece, ha il diritto di professare le sue odiose credenze. Viviamo in un’era in cui la tolleranza puo’ estendersi verso qualsiasi cosa tranne che verso una preghiera cristiana a scuola. Chiunque e’ libero di essere satanista o cabbalista. Ma perche’ questa gente deve essere armata con elicotteri da guerra Apache a spese dei contribuenti americani? Ginzburg e la sua setta hanno un’influenza che va ben oltre l’esiguita’ degli affiliati. Essi sono pericolosi tanto per i Gentili che per gli “ebrei ribelli”, come l’ex primo ministro Rabin.

In quella che potrebbe essere stata una piccola prova per l’imminente confronto sulle tombe di Gerusalemme, 20 giovani palestinesi hanno pagato con la vita il loro diritto alla venerazione dei reliquiari palestinesi. Ora, come prima del 1975, gli abitanti del luogo ed i turisti, musulmani, samaritani, ebrei, cristiani e laici possono visitare il sito liberamente, se riescono a scansare i cecchini israeliani. Possono portare un fiore sulla pietra tombale dell’eroe preferito della Bibbia, il profeta descritto nel Corano, l’amante dei poemi di Ferdousi e dei versi di Saadi, il cercatore della verita’ della rivelazione sufi di Jami. Giuseppe e’ ritornato dal popolo che l’ha sempre venerato. Siete liberi di visitarlo, ma, per favore, lasciate i vostri carriarmati fuori.

I palestinesi hanno combattuto la base militare, non il luogo santo. I luoghi santi di Gerusalemme, Betlemme, Hebron, sono salvi nelle mani dei palestinesi, come lo sono stati per innumerevoli generazioni. Senza la venerazione della gente che vi ha abitato, nessuno di essi sarebbe sopravvissuto. Per favore, ricordatevene, quando verra’ il momento di Gerusalemme.

Quest’ultima saga degli eventi riguardo la Tomba di Giuseppe e’ solo un’altra prova dell’inaffidabilita’ della macchina dei media americani.

La grande nazione, la formidabile superpotenza ottiene le sue informazioni e naviga nel mare della politica mondiale usando un telescopio di Topolino invece di lenti d’ingrandimento elettroniche. Se i signori dei media ebraici vi imbrogliano sulla Palestina, come potete pensare che siano onesti in qualche altro modo? Forse le sofferenze dei palestinesi dovrebbero aiutare gli europei e gli americani ad accorgersi della secca in cui si sta imbattendo la loro nave.

traduzione a cura di www.arabcomint.com

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