entre entrava in vigore il cessate-il-fuoco mediato dalla CIA, ricevetti un’angosciata telefonata dal villaggio di “Aboud, situato sulle pendici occidentali delle colline di Samaria. Il villaggio era stato razziato dall’esercito, e due uomini colpiti. Oggi vi sono andato, per vedere il villaggio e controllare l’armistizio.
Aboud e’ circondato dagli insediamenti ebraici da tutti i lati. Una nuova strada ebraica conduce al villaggio. Questa strada ha una diramazione per Aboud a circa tre miglia di distanza dal paese ed è proprio li’ che la strada è stata bloccata da enormi cumuli di terra. Abbiamo provato a passare dal lato opposto, ma con il medesimo risultato. Infine abbiamo trovato uno stretto sentiero tracciato dai contadini questa mattina, e siamo riusciti ad entrare nel villaggio.
Aboud e’ uno dei piu’ graziosi villaggi palestinesi, mi ricorda fortemente la Toscana. Le sue case in pietra levigata dal tempo si abbarbicano su dolci colline. Le vigne si spingono in alto fin sui balconi e rigogliose piante di fico donano l’ombra alle stradine. La prosperita’ di questo ben tenuto villaggio puo’ essere compresa guardando alla vastita’ delle sue abitazioni e nelle strade accuratamente pulite. I vecchi del villaggio siedono su panche di pietra in un piccolo ed ombroso recinto circondato da muretti, come gli anziani di Itaca riuniti dal giovane Telemaco. Questa e’ la biblica “porta della citta'”, o “diwan”. I fanciulli portano loro caffe’ e frutta fresca. Gli abitanti di Aboud non sono profughi di Gaza e Dehishe; qui, in un attimo che supera le barriere del tempo, si puo’ percepire la Terra Santa, come dovrebbe e potrebbe essere.
La trimillenaria Abud aveva ricevuto la fede in Cristo da Cristo stesso, dice la tradizione locale, e c’e’ una chiesa che lo dimostra, una delle piu’ antiche della terra, costruita nell’era di Costantino, attorno al Quarto secolo, o forse anche prima, come asseriscono alcuni archeologi. La chiesa e’ un piccolo gioiello, ben restaurata e ben tenuta. I capitelli bizantini delle sue colonne portano le immagini di croci e rametti di palma. Recentemente vi e’ stata scoperta un’antica incisione in aramaico incastonata nella parete sud della chiesa.
Aboud ha piu’ di una chiesa: vi e’ quella Cattolica, quella Greco-ortodossa, quella della Comunita’ di Dio, costruita da americani. Vi e’ anche una nuova moschea, poiche’ cristiani e musulmani di Terra Santa hanno sempre convissuto in armonia. Il 17 dicembre tutti gli abitanti di Abud, cristiani e musulmani, festeggiano la patrona del villaggio, Santa Barbara. Nei primi anni del cristianesimo, Barbara era una ragazza del villaggio innamoratasi di un giovane cristiano e per questo battezzatasi. Barbara fu martirizzata durante le persecuzioni dell’epoca di Diocleziano. Le rovine dell’antichissima chiesa bizantina di Santa Barbara possono essere viste, in cima ad una collina, a diverse miglia di distanza dal villaggio. Ai piedi della collina, presso la sua tomba, i contadini di fede cristiana accendono ceri votivi e chiedono grazie.
Da qui si puo’ chiaramente comprendere la follia della narrativa sionista dominante che considerava la Palestina una “terra senza popolo”, abitata forse solo da piccoli nuclei di nomadi arrivati al seguito della conquista araba. Gli archeologi hanno dimostrato che il villaggio vive, senza essere mai stato distrutto ne’ abbandonato, da tempo infinito. Ed i nostri occhi gli danno ragione: olivi millenari coprono le colline, confermando le radici antichissime di Abud e fornendole olio d’oliva in abbondanza, l’alimento e fonte di reddito principale.
Appena fuori del villaggio vi sono due giganteschi bulldozers americani di marca Caterpillar che, lentamente, ingoiano questi olivi. Sono enormi, completamente coperti di lastre di metallo, inespugnabili come fortezze mobili. Si muovono minacciosi nel territorio come i mostri meccanici dell’Impero del Male che attaccano Ewocks, in Guerre Stellari.
I contadini restano immobili sui cumuli di terra che bloccano l’entrata al villaggio e guardano le macchine distruggere la loro esistenza. Non possono avvicinarsi ad esse, cosi’ come non possono allontanarsi dal loro villaggio, la loro prigione. Sulla collina che sovrasta l’ingresso del villaggio vi e’ una tenda e alcuni soldati armati di mitragliatrici per fare in modo che la gente non esca dal villaggio. La scorsa notta, vigilia dello Shabbath, hanno aperto il fuoco su alcuni abitanti del villaggio, ferendone due. Gli altri sono ritornati in casa per difendersi dal fuoco. Poi l’esercito e’ entrato nel villaggio, nelle jeep militari, salutato dalle pietre lanciate dai ragazzini. I coloni ed i soldati israeliani hanno versato fiumi di pallottole contro finestre e tetti prima di allontanarsi, sentendosi fieri di aver adempiuto al loro dovere sabbatico.
A me e’ stato permesso attraversare la linea immaginaria, che esiste solo per i palestinesi. In una jeep modello American Hammer c’era un ufficiale israeliano che osservava la devastazione. “Perche’ lo fate?”, ho chiesto. “Non sapete che c’e’ un armistizio?” . “Dillo ad Arik (Sharon)”, ha risposto lui, “noi eseguiamo solo gli ordini”. Ma ne’ lui, ne’ gli altri soldati ne’ i guidatori dei bulldozers sentivano l’avvilimento di dover eseguire quegli ordini. Questi olivi millenari non significano nulla, per loro, come il villaggio, la chiesa vecchia di duemila anni e la gente che vi abita. Nulla. Solo oggetti da demolire e distruggere.
La Palestina non e’ mai stata la terra deserta che la propaganda sionista credeva di aver trovato. Lo diventera’ presto, se non fermiamo queste macchine di morte.